lunedì 30 luglio 2012

Erbe di campagna commestibili,l'allaria petiolata



Farmacia
L'Alliaria contiene principi attivi utili in fitoterapia (olii essenziali, glucosidi ed enzimi) per le sue proprietà vulnerarie, espettoranti, diuretiche.
I semi, dal vago sapore e profumo di senape, possono essere usati per stimolare l'appetito, ma anche come vermifughi e revulsivi. Mentre i fiori si impiegano contro l'asma, le foglie come depurative diaforetiche.
Si può preparare come infuso, succo, cataplasma e lozione. L'olio essenziale (simile a quello dell'aglio) si ricava dalle radici.
Industria
È utilizzata per produrre diversi coloranti.
Cucina
Le foglie della pianta possono essere usate in cucina nelle insalate. In Inghilterra è abbastanza comune utilizzarla per insaporire i sandwich. Sembra che siano più digeribili di quelle dell'aglio.
I giovani getti primaverili, assieme ad altre verdure, possono essere usati per preparare minestre. Arrostiti vengono usati anche in torte salate o nelle piadine.
Altre parti usate: fiori, frutti e semi (simili alla senape).
Nel Medioevo si usava nella carne salmistrata (per coprire l'odore sgradevole dopo qualche settimana di conservazione senza frigorifero!).

PASTA BARILLA - prodotto Mady in Italy



Barilla è un'azienda multinazionale italiana del settore alimentare,dei sughi pronti in Europa, dei prodotti da forno in Italia e dei pani croccanti nei Paesi scandinavi.
Fu fondata nel 1877 a Parma, in strada Vittorio Emanuele (oggi strada della Repubblica), come bottega che produceva pane e pasta da Pietro Barilla, discendente di una famiglia di panettieri.
La ditta si ingrandì nel 1908, e Barilla prese in affitto un nuovo stabile e vi inaugurò nel 1910 il nuovo pastificio, dotato di un forno, in zona Barriera Vittorio Emanuele. Alla sua morte, avvenuta nel 1912 gli succedettero alla guida i figli Riccardo e Gualtiero.
Nel 1919 morì anche Gualtiero, e la direzione della ditta passò interamente nelle mani di Riccardo. Fu a partire da allora che Barilla aumentò la produzione e la distribuzione dei prodotti, grazie ad una innovazione tecnologica, che gli consentì di trasformarsi rapidamente, nel corso degli anni venti e trenta, nella più importante azienda del settore in Emilia-Romagna.
Nel 1947 Riccardo Barilla morì e la gestione passò ai figli Pietro e Gianni, che erano già entrati nell'azienda di famiglia molti anni prima, rispettivamente come responsabile commerciale e responsabile della produzione.
Fu proprio con l'avvento dei due fratelli Barilla, che l'azienda parmense conobbe una fase di grande sviluppo, e nel 1952 fu sospesa la produzione del pane per concentrarsi unicamente in quella della pasta di semola e all'uovo. In quegli anni la Barilla si trasformò rapidamente da azienda di livello regionale ad una di livello nazionale, grazie ai molti investimenti sulla pubblicità, alla qualità dei prodotti venduti a prezzi equilibrati e alla sua capacità innovativa, come per esempio l'utilizzo del cellophane per confezionare la pasta.
Nel 1955 venne inaugurato il nuovo stabilimento in viale Vittorio Veneto (poi intitolato a Riccardo Barilla) e la Barilla incrementò la produzione arrivando a raggiungere i 6.000 quintali al giorno di prodotto. Fu così che negli anni del boom economico la Barilla divenne azienda leader nella produzione e nel mercato nazionale della pasta. Nel 1960 si trasformò in società per azioni, e negli anni successivi aprì nuovi stabilimenti.
Nel 1970 i fratelli Barilla cedettero la loro azienda alla multinazionale statunitense W. R. Grace and Company. Sotto la gestione statunitense Barilla nel 1975 acquisì il controllo della Voiello, e ampliò la propria produzione a quella dei prodotti da forno (biscotti, merende, torte) con il marchio Mulino Bianco.
Nel 1979 Pietro Barilla riacquisì il pacchetto di maggioranza della sua azienda, che così ritornò italiana.
Nel 1993 morì improvvisamente all'età di 80 anni Pietro Barilla e la gestione della società passò ai figli Guido, Luca e Paolo.
Si giunse così alla quarta generazione Barilla, e negli anni novanta l'azienda emiliana avviò un processo di internazionalizzazione con l'acquisizione di varie società estere dello stesso settore, come la greca Misko (1991), la turca Filiz (1994), la svedese Wasa (1999), le messicane Yemina e Vesta, e la tedesca Kamps AG (2002). In Italia ha acquisito la Pavesi (1992).

Ricetta RISO ALLA CANTONESE tratto dal n. 7 luglio 2012 Vero Cucina ricetta pubblicata da Veronica Mensi. Milano - ricetta


Ingredienti per 4 persone:
300 gr. di riso per risotti o a grana lunga
150 gr. di piselli  sgusciati (io ho utilizzato quelli nel barattolo di prodotti bio)
2 uova (io ho  utilizzato quelle bio)
200 gr. di prosciutto cotto in cubetti
olio q.b.
sale q.b.

Lessate il riso al dente in acqua bollente salata e scolatelo. A parte,lessate anche i piselli al dente in acqua bollente e salata (questa parte io l’ho omessa perché quelli nel barattolo erano già lessati,ho semplicemente scolato l’acqua all’interno del barattolo).
Sgusciate le uova e strapazzatele in un tegamino antiaderente. Fate rosolare il prosciutto in un padellino antiaderente.
Riunite tutti gli ingredienti preparati in un tegame leggermente oliato e fateli saltare a fuoco vivo per qualche istante.
Servite subito e buon appetito!


ALICI MARINATE AL PREZZEMOLO - ricetta romagnola



ingredienti per 4 porzioni

500 g di alici piccole e freschissime
1 ciuffo di prezzemolo tritato
4 limoni
mezzo bicchiere di olio extravergine d' oliva
q.b. sale 
q.b. di pepe

Preparazione

La prima operazione da fare è quella di pulire bene le alici. Vanno sviscerate, diliscate, eliminate testa e coda. Come si fa? Si elimina dapprima la testa, per poi passare ad aprirle lungo il ventre a mo' di libro, per poterle successivamente diliscare e pulirle dalle interiora, ottenendo così i filetti. A questo punto lavatele e asciugatele, evitando di dividere le due metà del pesce. Quindi disponete i filetti in un unico strato in un vassoio leggermente fondo, copriteli con il succo di 3 limoni e lasciateli riposare almeno 5 ore in frigorifero per la marinatura.
Trascorso il tempo necessario per la marinatura, tirate fuori dal frigorifero le alici, scolatele ben bene, disponetele in un piatto di portata, facendo molta attenzione a non romperle. Intanto, in una ciotola emulsionate il succo filtrato del restante limone con l'olio, il prezzemolo finemente tritato, sale e pepe
Versate questa salsina sulle alici, lasciate marinare ancora un’ora, infine servite decorando il piatto da portata a piacere con fettine di limone e ciuffetti di prezzemolo

COTECHINO DI MODENA - prodotto tipico emiliano



Il Cotechino di Modena è un salume a Indicazione Geografica Protetta (IGP).
Il cotechino è un tipo di insaccato consumato cotto. Deve il suo nome alla cotica, la cotenna di maiale, e prende nomi locali a secondo dei posti in cui viene prodotto. La tradizione vuole che sia il piatto che si consuma il primo giorno dell'anno (o l'ultimo) accompagnato dalle lenticchie.
Si prepara riempiendo il budello con:
cotenna
carne, solitamente non di prima scelta,
grasso
impastati con sale e spezie, nella produzione industriale vengono aggiunti per la conservazione nitriti e nitrati.
La pezzatura varia da pochi etti (formato salsiccia) a più di un chilo (formato grosso salame). Richiede tempi lunghi di cottura, a fuoco basso per non rompere il budello, in modo che le cotenne diventino morbide.
Si procede bucando la pelle del cotechino con uno suzzicadenti in parecchi punti per permettere la fuoriuscita del vapore durante la cottura, poi lo si avvolge in un tovaglio, lo si lega e lo si mette in una pentola di acqua fredda, tanta che ne sia ricoperto. Mettere la pentola, con coperchio, su un fuoco medio e attendere che inizi a bollire. A questo punto abbassare il fuoco in modo che dal coperchio esca solo un filo di vapore. Deve bollire così per altre quattro ore. Alcuni sostituiscono l'acqua dopo un paio d'ore con altra già bollente.

COPPIA FERRARESE - prodotto tipico emiliano



Coppia Ferrarese, "ciopa" o, confidenzialmente, "ciupeta" è il nome di un prodotto di panetteria a indicazione geografica protetta. Il 27 febbraio 2004 si è costituito il Consorzio di tutela per la coppia Ferrarese IGP.
Molte sono le citazioni del pane ferrarese ad opera di protagonisiti del mondo culturale. In un articolo del 2008, Folco Quilici racconta come nella sua famiglia la coppia ferrarese, finisse presto al centro dell'attenzione nei discorsi con ospiti "forestieri". Nonostante il lavoro di documentarista abbia portato Quilici in giro per il mondo, ed abbia quindi avuto occasione di assaggiare numerosi tipi di pane, egli chiude l'articolo in questione dicendo: "È stato per me «il cibo preferito» e qualunque sforzo io faccia, è sempre il pane ferrarese che mi manca, che desidero, che non perdo occasione di magnificare e di gustare”.
Riccardo Bacchelli parlava del pane ferrarese come de “Il Pane migliore del mondo.” Nella sua opera "Il mulino del Po" narra appunto del luogo dove si produceva la farina per il pane ferrarese.
Il rito della panificazione domestica nelle famigle ferraresi è cantato anche da Corrado Govoni in "Casa Paterna" nell'opera poetica "Inaugurazione della primavera" del 1915[6]. Ed in un altro luogo ebbe occasione di dire: "Il nostro Pane: orgoglio di noi ferraresi. Dono dell'aria, dell'acqua, dell'uomo. Offerta generosa di Ferrara al mondo.”

FARCI - PROVOLA - prodotto tipico calabrese


Descrizione prodotto:
INGREDIENTI UTILIZZATI: Latte fresco di mucca, soppressata o capocollo, caglio, sale.
FORMA: Allungata e affusolata alle estremità.
DIMENSIONI MEDIE: Diametro 20 cm. e lunghezza 6 cm.
PESO MEDIO: Da 2 Kg. a 4 Kg.
SAPORE: Leggermente salato.
ODORE: Speziato.
COLORE: Bianco avorio.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura:
LAVORAZIONE DEL PRODOTTO: Esclusivamente manuale.
TECNICHE DI LAVORAZIONE: Il latte utilizzato è di provenienza vaccina, munto per metà la sera precedente e per metà munto la mattina della lavorazione. Al latte pastorizzato viene aggiunto del caglio liquido. Dopo la rottura della cagliata ed un breve riposo si procede alla estrazione del siero. Si lascia maturare la pasta tagliata a pezzi per tre quattro giorni a temperatura ambiente. La filatura avviene con acqua a 80°C, durante la quale si da alla provola la tipica forma molto allungata e con l'interno cavo che viene farcito con una soppressata o con un capocollo stagionato. Richiuso l'apice si mette a raffreddare in acqua fredda, mentre la salatura si effettua in salamoia per circa 12 ore. Terminata questa fase la farci-provola viene inserita in retine contenitrici ed appesa a coppie su bastoni orizzontali. Matura in pochi giorni in ambiente fresco ed aerato.
PERIODO DI LAVORAZIONE: Tutto l'anno.
MATURAZIONE STAGIONATURA DEL PRODOTTO: 4/5 giorni in ambienti freschi ed aerati.

Materiale, attrezzature e locali utilizzati:
MATERIALI UTILIZZATI: Tavolo di acciaio, retine contenitrici.
STRUMENTI UTILIZZATI: Lira, pentoloni di acciaio.
MACCHINARI UTILIZZATI: Pastorizzatori.
LOCALI: Laboratori maioliocati e rispondenti alla normativa igienico-sanitaria.

TONNO SOTT'OLIO - prodotto tipico calabrese



Territorio interessato alla produzione: provincia di RC
Descrizione prodotto:
INGREDIENTI UTILIZZATI: Tonno piccolo o palamitu olio, sale.
FORMA: Filetti.
DIMENSIONI MEDIE: 10 * 1.5.
PESO MEDIO: 30  40 gr.
SAPORE: Sapido e consistente.
ODORE: Robusto.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura:
LAVORAZIONE DEL PRODOTTO: Esclusivamente manuale.
TECNICHE DI LAVORAZIONE: Lasciare il pesce per alcune ore sotto l'acqua corrente. Mettere a bollire in acqua salata, una volta cotto togliere la pelle e le spine, tagliare a filetti. Farli asciugare su un panno e raffreddare, conservarli in barattoli di vetro sott'olio.
PERIODO DI LAVORAZIONE: Dal mese di settembre al mese di ottobre.
Elementi che comprovano la tradizionalità: Anche per il pesce, come per alcuni ortaggi, è tradizione in Provincia di Reggio Calabria fare le conserve sott'olio per meglio conservare e quindi poter consumare la pietanza durante tutto l'anno.
La ricetta è riportata su Il libro d'oro della cucina e dei vini di Calabria e Basilicata di Ottavio Cavalcanti, Editore Mursia  1979.

PIZZA MARGHERITA - ricetta tipica campana



Ingredienti Pizza Margherita :

Per l’impasto:
  • 500 gr di farina
  • 1 cucchiaio di olio
  • 1/2 cucchiaio sale
  • 1 cubetto di lievito
  • 200 ml di acqua tiepida
  • 1 pizzico di zucchero
Per il condimento :
  • 300 gr di mozzarella
  • salsa di pomodoro
  • olio extravergine d’oliva
  • origano
  • foglie di basilico

Preparazione Pizza Margherita :

Nell’acqua sciogliete il lievito di birra.
Sulla spianatoia versate la farina e fate la  fontana.Versateci dentro l’acqua con il lievito sciolto, il sale, lo zucchero e l’olio.Impastate fino a quando non avrete un composto liscio e elastico.Formate una palla, e disponetelo in una ciotola.Fatelo lievitare in un posto caldo e asciutto,fin quando il suo volume non sarà raddoppiato. Finito il tempo di lievitazione,con le mani infarinate formate tante palline di circa 140 gr. Fatele lievitare per altri 30 minuti,sempre in un luogo caldo. Dopo la seconda lievitazione procedete con la stesura della pasta. Stendetela con il mattarello e disponetela nelle teglie imburrate e infarinate. Distribuite il sugo, l’origano e la mozzarella tegliata a dadini precedentemente.Irrorate con l’olio e infornate in forno preriscaldato a 220° per  20 minuti.

NOCCIOLA DI GIFFONI - prodotto tipico campano



http://www.noccioladigiffoniigp.it/ sito ufficiale
L’Indicazione geografica protetta “Nocciola di Giffoni” si riferisce ad una delle varietà italiane più pregiate in assoluto: la Tonda di Giffoni.
Le caratteristiche distintive della “Nocciola di Giffoni” IGP sono rappresentate: dalla forma perfettamente rotondeggiante del seme (che è la nocciola sgusciata), che ha polpa bianca, consistente, dal sapore aromatico, e dal perisperma (la pellicola interna) sottile e facilmente staccabile. E’ inoltre particolarmente idonea alla tostatura, alla pelatura e alla calibratura, anche per la pezzatura media e omogenea del frutto. Per queste sue caratteristiche pregiate essa è particolarmente adatta alla trasformazione industriale ed è pertanto fortemente richiesta dalle industrie per la produzione di pasta e granella, nonché, come materia prima, per la preparazione di specialità dolciarie di grande consumo. Nell’area di origine è utilizzata anche come ingrediente nella preparazione di una variegata gamma di prelibatezze, tra le quali: dolcetti, torte, gelati, creme, ma anche insoliti primi piatti e finanche liquori alla nocciola.Ma la “Nocciola di Giffoni” IGP si presta particolarmente, proprio per la forma e la qualità del frutto, al consumo diretto, sia in guscio che soprattutto come snack denocciolato intero, ed è questa forma di consumo che ha stimolato un nuovo rinnovato interesse verso tale prodotto. Al naturale o ricoperta di cioccolato, nel miele o nel torrone, la “Nocciola di Giffoni” IGP sta guadagnando, anche all’estero, il favore dei consumatori.Essendo una cultivar medio-precoce, la raccolta dei frutti inizia solitamente già dalla terza decade di agosto, dopo di che, le nocciole vengono essiccate per portarle ad un’umidità del 5-7% e infine si depositano in luoghi freschi e ventilati, privi di odori e umidità.Il valore altamente nutritivo della “Nocciola di Giffoni” fa sì che il suo consumo protegge dall’arterosclerosi e dalle malattie cardiovascolari, grazie ad una concentrazione di sostanze grasse monoinsaturi, come l’acido oleico, che hanno la funzione di limitare fortemente i livelli di colesterolo nel circolo sanguigno. Essa inoltre è ricca di vitamine E, B, C, nonché di minerali quali il ferro, il rame, lo zinco, il fosforo, il sodio, il magnesio e il selenio, fondamentali per un corretto funzionamento del sistema cellulare.

TORRONE DI BENEVENTO - prodotto tipico campano


Il classico torrone di Benevento è un dolce dagli ingredienti di base semplici: bianco d’uovo, miele, nocciole e mandorle. Morbido o duro, bianco o al cioccolato, alle mandorle o alle nocciole, esso è una leccornia dal sapore superiore, quasi regale. In esso, arte e tradizione, passato e presente, si fondono con armonia: la scelta delle materie prime, la lavorazione e la cottura sono svolte, infatti, con la stessa cura e dedizione di un tempo. L’utilizzo di metodi di produzione artigianali e il rispetto delle antiche ricette assicura al prodotto qualità e genuinità. L’adozione delle innovazioni tecnologiche da parte delle ditte produttrici non influenza il risultato qualitativo, ma consente anzi di creare nuovi gusti e assortimenti sempre più vari, sempre nel rispetto delle antiche ricette.

CROSTINI DI BROCCOLI - ricetta umbra



Ingredienti per 4 crostini: broccoletti gia lessati - 4 sottilette - 2 fette di pane - (ricavate dalle forme da un kg intendo) - - sale - olio - scaglie di parmigiano.

Questi crostini possono essere serviti sia in porzioni ridotte come antipasti rustici, sia come secondo piatto. Considerate che di norma, a me ne mangiano più di uno a testa. Un consiglio: usate pane tipo toscano.
Tagliate a metà le fette di pane e adagiate sopra di ognuna una sottiletta.
Poi coprite la sottiletta con i broccoletti e infine con i pomodorini.
Salate leggermente e condite con un filo d'olio.
Passate sotto il grill finche la sottiletta non comincia a fondere (ci vorranno pochi minuti).
Togliete dal forno, aggiungete le scaglie di parmigiano e servite subito.

CORALLINA DI NORCIA - prodotto tipico umbro


La Corallina di Norcia è un salame ottenuto da un trito di tagli di suino provenienti da spalle e cosce. I maiali impiegati nella sua preparazione provengono da allevamenti locali e sono nutriti principalmente con ghiande, regime alimentare che permette di ottenere carni particolarmente saporite e dotate di ricercate note selvatiche. Alla carne macinata si aggiungono dadini di grasso di maiale; il tutto viene poi insaporito con sale, pepe e aglio marinato nel vino. La ricetta della Corallina di Norcia prevede l’impiego di tre parti di carni magre e una di grasso; una volta amalgamato, il composto viene insaccato in un particolare budello detto “corallo”, da cui il salume mutua il proprio nome. Dopo un periodo di maturazione di qualche giorno, il salume è sottoposto a una leggera affumicatura con bacche di ginepro, alle quali si deve l’aroma caratteristico. Segue la stagionatura, che si protrae per circa tre-cinque mesi. Al taglio la Corallina di Norcia presenta colore rosso vivo, inframmezzato dal bianco del grasso; il profumo è speziato e aromatico; il sapore è sapido e piacevolmente dolce. In tutta la regione viene prodotto un salame simile, chiamato Corallina o Salame Umbro.

COPPA DI TESTA UMBRA - prodotto tipico umbro



E’ frutto di una sapiente e accuratissima lavorazione.
Tagliandola si notano vari colori della carne dovuti alla diversità delle parti usate per la preparazione: testa, muso, cotiche, nasello.
La carne, una volta cotta, viene condita con pepe, sale, pochissimo aglio, buccia di limone ed arancia.
E’ uno degli insaccati più appetitosi.

OLI EXTRAVERGINE DI OLIVA VALDEMONE E VALLI TRAPANESI - prodotto tipico siciliano



La coltura dell’olivo interessa la Valle del Belice, con i terreni di
Castelvetrano, Partanna, Campobello di Mazara e la Valle di Erice.
E’ un olio armonico, fruttato intenso, dai toni erbacei, con sensazioni di pomodoro e carciofo e dal sapore leggermente piccante ed amaro, che si apprezza sia nell’uso a crudo, che nelle pietanze cotte.

PANE DI MAFALDA - prodotto tipico siciliano


La Sicilia ha sviluppato, nel corso della sua storia, un ricco patrimonio agro-alimentare. Tra i prodotti di indiscusso valore economico, storico e culturale, il pane gioca un ruolo di primario interesse. Il pane in Sicilia è tutto: cultura, storia, tradizioni, fatica, ma anche unico e inimitabile sapore. Già alla fine del Medioevo, nessuno mangiava pane diverso da quello di grano duro. Nella cultura contadina della Sicilia preindustriale il vero uomo era colui che mangiava pane travagghiatu, ottenuto, cioè, con il sudore della propria fronte. La panificazione casalinga era compito tipicamente femminile: il sabato pomeriggio, quando il contadino tornava dalla campagna, trovava il pane casereccio caldo e qualche pasticcio o pizza con prezzemolo e un filo d’olio.Uno dei pani tradizionali siciliani più diffusi era ed è il pane casereccio, realizzato con semola di grano duro e caratterizzato da un’alveolatura fitta e minuta. La sua preparazione richiede una lavorazione specifica, caratterizzata da un impasto a bassa percentuale di acqua rispetto alle preparazioni standard. Questo tipo di pane ha elevata conservabilità, determinata dal basso tenore di acqua presente, che lo rende meno attaccabile dalle muffe. Il pane casereccio siciliano è anche detto scaniatu, poiché viene lavorato energicamente, utilizzando attrezzi e metodiche tradizionali, anche se oggi si riscontra una produzione sempre più orientata all’utilizzo di tecniche e strumenti moderni.ra le forme di pane più conosciute e diffuse in Sicilia spicca certamente la Mafalda, prodotta in tutta la regione. La Mafalda è un pane dalla crosta dorata, dal delicato e caratteristico sapore di semi di sesamo, foggiato in diverse forme, tra le quali gli “occhi di Santa Lucia” e la “Corona”, ottenuta tagliando in due punti il lato superiore di un panetto a forma di mezzaluna – non superiore ai 3 etti – che con la lievitazione e la cottura si apre a ventaglio nella parte incisa, facendola assomigliare, appunto, a una corona.Gli ingredienti per la produzione della Mafalda sono la farina di semola rimacinata, il malto, i semi di sesamo, il lievito di birra e il sale. Si prepara sciogliendo il lievito in acqua tiepida unendolo all’olio, al malto e impastando il tutto con la farina e il sale. L’impasto viene lavorato vigorosamente per favorire l’agglutinazione e poi si lascia riposare. Si formano in seguito dei lunghi cilindri che si ripiegano su se stessi a spirale per quattro volte, con la parte iniziale posata sulla faccia superiore del pane. Si inumidisce la parte superiore con acqua cospargendo la superficie con semi di sesamo e si lascia riposare al caldo, per almeno due ore, infine si inforna. In Sicilia, oltre ai tradizionali pani preparati con farina di semola di grano duro, sono in commercio anche prodotti da forno realizzati con farina di grano tenero, generalmente identificati come “pane bianco”. L’avvento di materie prime e tecnologie “moderne” come l’utilizzo di forni elettrici e impastatrici meccaniche ha consentito di accorciare i tempi di lavorazione e rispondere, in particolare, alle esigenze dei mercati dei grossi centri urbani, nei quali bisogna panificare più volte nell’arco di una stessa giornata, garantendo produzioni anche massicce.

GATTò DI PATATE E MELANZANE - ricetta siciliana


Ingredienti:
1 Kg di patate
2 melanzane
2 uova
qualche cucchiaio di pangrattato
50 provolone piccante grattugiato
100g fontina a fette
olio d'oliva
 


Pulite le melanzane eliminando il picciolo e tagliatele a fette spesse circa 1/2 cm. Disponete queste fette in un contenitore con acqua salata, quindi poggiate su di esse un peso che le tenga bene immerse e lasciatele riposare almeno 30 minuti.
Nel frattempo lessare le patate, sbucciarle e preparare un puré, quindi aggiungervi le uova sbattute, il provolone e due cucchiai d'olio e impastare bene.
Scolare le melanzane e friggerle in olio caldo, quindi disporle sulla carta da cucina perché cedano parte dell'olio di frittura.
Ungere una teglia e spolverizzarla con il pangrattato. Versarvi metà puré, le melanzane fritte, la fontina, quindi il rimamanente purè.
Ricoprire con un filo di olio e infornare a 200° per 30 minuti.

ARANCINI DI RISO ALLA SICILIANA - ricetta siciliana



Ingredienti
500 gr – riso
200 gr – mozzarella
300 gr – melanzane
200 gr – salsa
50 gr – pecorino
30 gr – burro
2 – uova
brodo vegetale leggero
olio extravergine di oliva
olio di semi
sale
pepe

Preparare un litro di brodo vegetale, portare all’ebollizione, salare e lessare il riso senza mettere il coperchio. Quando il riso avrà assorbito tutto il brodo, vuol dire che sarà pronto. In ogni caso assaggiare per evitare l’effetto sabbia tra i denti
Aggiungere il pecorino e il burro e lasciar sfreddare per almeno 15 minuti. Meglio mettere il riso su una spianatoia per consentirgli di raffreddare meglio, altrimenti quando si formeranno le palline, ci si scotterà le dita!
Sbattere le uova con un pizzico di sale, pepe e un cucchiaio di farina e mettere da parte perchè sevirà in secondo momento.
Lavare accuratamente le melanzane e tagliarle a dadini piccoli. Prendere una padella, mettere un filo di olio di oliva e lasciar friggere le melanzane a fuoco basso  per 10 minuti; dopo aggiungere la salsa e lasciar cuocere a fuoco basso per 15 minuti fino a che la salsa non si sarà asciugata.
Prendere il riso e formare delle palle grandi quanto piccole mele, fare un buco al centro e mettere la quantità di mozzarella e melanzane che si preferisce; richiudere l’arancino e passarlo prima nell’uovo e poi rotorarlo abbondantemente nel pan grattato.Lasciar scaldare l’olio di semi in padella (leggere qui come fare per ottenere fritti perfetti) e friggere ciascun arancino per 10 minuti fino a che la crosticina non sarà diventata dorata. Posizionare ciascun arancino fritto nella carta assorbente e poi servire ancora caldi.

Salame di Fabriano - regione Marche



Salame di Fabriano è il nome di un salume a base di carne di maiale.Il salame di Fabriano è un prodotto tipico della tradizione Marchigiana con particolare riferimento alla zona di produzione geograficamente individuata dai seguenti comuni: Fabriano, Arcevia, Cerreto d'Esi, Genga, Serra San Quirico, Sassoferrato, Matelica, Esanatoglia, Serra Sant'Abbondio, Frontone, Pergola, Pioraco e Fiuminata.
INGREDIENTI
Nei luoghi di produzione tradizionali si impiegano ancora le carni ottenute dalle razze autoctone dell’entroterra anconetano dal tipico colore scuro e dal pelo ruvido; questo perché in passato era predominante la razza nera, ma oggi il suino che si alleva e si utilizza per la produzione del salame di Fabriano è quello derivato dall’impiego indifferente di razze bianche e scure purché nato nel territorio dell’Appennino umbro-marchigiano. L’età ideale per la macellazione è quella che storicamente veniva definita dalla tradizione come “animale sopranno”, cioè un suino con almeno 12 mesi d’età, alimentato con prodotti derivanti da colture di provenienza locale rigorosamente Ogm free. Dei suini si utilizzano solo le parti pregiate e di prima qualità derivanti dalla Spalla (solo il fiocco), dalla Coscia con l’aggiunta del Fondello. Assolutamente vietate l’impiego o aggiunta di tagli non di prima qualità. Il grasso rappresenta un percentuale di circa il 8-12%, viene prelevato dalla fascia adiposa dorso-lombare e tagliato a cubetti (in quantità proporzionali all’impasto magro) di 0,5-1 centimetri. L’impasto, con l’aggiunta di sale, pepe (macinato ed in grani) e vino bianco, viene inserito preferibilmente nel budello gentile che rappresenta la sezione dell’intestino più adatta alle lunghe stagionature ed in grado di conferire aromi particolari. È vietato aggiungere grasso nell’impasto.
RICONOSCIMENTI
Il Consorzio dei produttori richiede da alcuni anni (invano per ora) alle istituzioni europee il marchio DOP per salvaguardare e valorizzare ulteriormente il prodotto. Il Salame di Fabriano è Presidio Slow Food. Fin dalla nascita dei Presidi, Slow Food ha inserito tra i primi il Salame di Fabriano, quale espressione di uno dei migliori insaccati italiani, che a causa della esiguità dei produttori è a rischio di estinzione.


Ricetta PENNE CON PANCETTA E PECORINO ispirato dal mensile n.7 luglio 2012 “Vero Cucina”


Ingredienti per 4 persone:
400 gr. di penne rigate
300 gr. di passata di pomodoro casereccia
100 gr. di pancetta dolce a cubetti
40 gr. di pecorino a scaglie
1 spicchio d’aglio
6 cucchiai d’olio extravergine d’oliva
sale q.b.
pepe q.b.

Sbucciate l’aglio e rosolate per qualche istante in un tegame d’olio,poi eliminatelo. Unite la pancetta e dopo qualche secondo la passata di pomodoro e continuate nella cottura per  30 minuti,mescolando spesso e salando verso la fine.
Cuocete le penne in una casseruola con acqua bollente salata,scolatele al dente,versate nel tegame con il sugo e lasciatele insaporire per qualche istante. Completate infine con il pecorino a scaglie e abbondante pepe e servite.
Buon Appetito!

giovedì 26 luglio 2012

TORTILLAS DI MANZO ALLA TEXANA - ricetta

Questa ricetta l'ho preparata il 2 giugno scorso per provare la cucina messicana tanto lodata negli ultimi tempi.
Spero che vi piaccia!


Ingredienti per  2  persone:
4 tortillas già pronte
½ peperone rosso
150 gr. di fettine di manzo
2 cucchiai  di olio d’oliva extravergine
1 cucchiaino di tabasco
1 pomodoro
½ cipolla
1 spicchio d’aglio
il succo di 1 limone
sale q.b.

Sbucciate l’aglio,schiacciatelo e mettetelo in un piatto con il succo di limone,metà Tabasco e il sale. Unitevi la carne tagliata a listarelle,coprire con pellicola trasparente e mettete in frigo per 30 minuti.
Montate il peperone,eliminate i semi e tritatelo finemente;pulite la cipolla e affettatela. Sbucciate il pomodoro e riducetelo a dadini.
Scaldate 1 cucchiaio d’olio extravergine e fatevi insaporire la cipolla con il peperone,a fuoco basso,poi unite il pomodoro,il Tabasco rimasto,salate e trasferite in una ciotola.
Scaldate l’olio rimasto in una padella e rosolatevi la carne scolata dalla marinata,unite il sugo ai peperoni e fate insaporire per 1 – 2 minuti. Mettete a scaldare la tortillas nel forno o in una padella,e farcitele con la carne al peperone.
Buon Appetito!

La tortillas inpiattata per l'occasione




mercoledì 25 luglio 2012

Foto Mercatino di Natale 27 nov '11 - Mombaroccio (PU)

Mombaroccio (Mombaròcc in gallico marchigiano) è un comune italiano di 2.157 abitanti della provincia di Pesaro e Urbino nelle Marche.

Entrata nel borgo (l'ingresso durante questo evento è a pagamento)

i mercatini





luci di Natale nel borgo



Muscioli arrosto - ricetta marchigiana


Ingredienti per 4 persone:
1 Kg Cozze freschissime
300 gr. pomodori da sugo
50 gr. prosciutto crudo
1 manciata prezzemolo
Pane grattato
olio extravergine d'oliva


Lavare i pomodori e passarli al setaccio. Tritare il prosciutto e le foglie del prezzemolo; mettere il ricavato in una terrina, unire un po' di pane grattuggiato e il passato di pomodoro, mescolando. Lavare accuratamente le cozze in acqua corrente spazzolandole con cura le valve, quindi aprirle servendosi di un coltellino appuntito e scuoterle per far cadere l'acqua contenuta e gli eventuali granelli di sabbia. Ricoprire i molluschi con un po' del ripieno preparato, disporli in una larga pirofila mano a mano che sono pronti; a lavoro ultimato irrorarlli di olio e mettere il recipiente in forno caldo, lasciandovelo per circa 15 minuti.

Porchetta marchigiana


La porchetta è un piatto tipico dell'Italia centrale. Consiste in un maiale intero, svuotato, disossato e condito all'interno con sale, pepe, erbe aromatiche, e arrostito in forno. La porchetta si consuma tagliata a fette come secondo piatto oppure fuori pasto in panini imbottiti. È d'obbligo nelle cosiddette merende in cantina, tipiche delle zone di produzione vinicola. Il suo consumo è favorito dai venditori ambulanti che si recano dov'è previsto un notevole afflusso di persone (feste paesane, fiere, mercati, concerti, raduni, eccetera).
Il luogo di elaborazione della ricetta della porchetta è a tutt'oggi incerto. Gli abitanti di Ariccia, nel Lazio, rivendicano la paternità della ricetta originaria. In Umbria si sostiene che sia nata a Norcia, famosa sin dai tempi dei romani per l'allevamento del maiale (da cui il sostantivo "norcino"). Nell'Alto Lazio la si fa risalire all'epoca degli Etruschi. Antichissima è la tradizione della porchetta di Campli in provincia di Teramo (Abruzzo), dove sono state rinvenute prove nella vicina Necropoli picena di Campovalano. A Campli già gli Statuti comunali del 1575, rinnovati per opera di Margherita d'Austria, contenevano numerose indicazioni sull'uso, la vendita e la cottura della porchetta. Analoghe rivendicazioni di primogenitura si riscontrano in località delle Marche. La porchetta è diffusa anche in Romagna e nel Ferrarese.
Nel novecento la porchetta ha avuto successo in Veneto, diffondendosi a Treviso  e Padova, diventando un prodotto familiarmente locale per i consumatori veneti.

Pera angelica



IL PERO ANGELICO è una delle varietà più preziose del suolo Italiano.
I suoi rami si elevano dritti, e gli danno una forma piramidale.
La sua foglia, picciola e liscia, ha la forma di un cuore rovesciato, di cui la punta serve di base, e nella cui parte superiore s’impianta il picciuolo.
Il fiore è formato di petali larghi e bianchi, e allega facilmente, quando non è abbruciato dalle nebbie.
Il frutto è oblongo, tondeggiante sulla corona, poi rilevato irregolarmente, e degradate in seguito in un collo, che gli dà la vera forma della pera.
La sua buccia è giallognola nella maturità, ma sfumata di un rosso vinoso, che nel lato del Sole si spiega in tante macchiette rotonde punteggiate di grigio, che risaltano singolarmente, e che la distinguono da tutte le altre pere conosciute.
La polpa è bianca, gentile, butirrosa insieme e croccante, e piena d’un sugo abbondante e saporito, che la rende graziosa, e la fa gareggiare colle pere più squisite.
La Pera Angelica comincia a maturare sul finir di Settembre, continua tutto l’Ottobre, e qualche volta giunge ancora alla metà di Novembre. Ne ho mangiate a Milano anche in Decembre, ma ciò è raro, e forse fu dovuto alle circostanze di qualche località particolare del Veronese, da dove provenivano.
Le sue belle forme e il suo colorito, graziosamente rilevato dalla punteggiatura singolare, che lo distingue, la mettono nel primo rango fra le Pere. Ma ciò che la rende più preziosa è la sua bontà: non conosco altre pere che vi possano stare al confronto fuor che la Butirra bianca e la Passatutti: esse sono le sole che la superino in sapore e in delicatezza, ma l’eguagliano appena in abbondanza di sugo e in durata.
L’Angelica succede alle Pere Spadone; è contemporanea per un certo tempo delle Butirre bianche Autunnali, delle Butirre grigie e delle Pere Pistacchine, e precede le Spine, le Luise, le Bergamotte, le Passatutti, le Spadone d’Inverno o S. Germane, e le Virgolose.
La sua grossezza ordinaria è quella dell’individuo, che si è figurato, ma ne ho vedute delle molto più grosse nel Modenese, in Bologna, e nelle Marche. Alcuni pretendevano che esse constituissero una varietà particolare. Io però ho trovato in tutte le medesime forme, la medesima pasta, e lo stesso gusto, ciò che mi fa credere che questa grossezza sia piuttosto l’effetto del clima e del terreno, che una differenza di varietà.
Pochi Peri sono così fertili come l’Angelico: esso di fatto provvede per più mesi le piazze dei paesi ove è coltivato, e somministra una quantità immensa di frutti anche al commercio. Pare però che nei luoghi marittimi ei sia soggetto alle nebbie. Nel mio Pometo il suo fiore non allega sempre felicemente, e i suoi frutti sono qualche volta annebbiati.
L’Italia è ricchissima di queste Pere: le ho trovate in abbondanza nella piazza di Roma, ove vi sono portate dalla Sabina, e dall’Umbria: esse continuano a vedersi in tutta l’alta Toscana, e cuoprono per molti mesi in Autunno il mercato di Firenze.
Chi crederebbe che esse siano sconosciute nel Pisano, nel Lucchese e nel Pesciatino, paesi così vicini ai sopraccennati, e così fertili in ogni specie di frutti?
Eppure non ve l’ho mai vedute, quantunque abbia passati due Autunni in quei contorni, ove mi sono occupato quasi esclusivamente a ricercarne, e studiarne i prodotti.
Il Genovesato non le conosceva nemmeno pochi anni sono: esse vi si coltivano ora, ma solo da alcuni amatori, e vi sono un frutto di nuovo acquisto.
Usciti dal Genovesato, non si trovano più pere Angeliche sino ai confini dello Stato Veneto. Sono conosciute nel Piemonte, nel Monferrato, nelle ricche colline dell’Oltrepò, e persino nel Siccomario, che è il Pomaro del Milanese. Quelle, che si vedono nella piazza di Milano, vi sono portate dal Veronese, e se qualche amatore le coltiva nella bella Brianza, o nei paesi deliziosi, che circondano i due laghi, ciò non è che da poco tempo.
Il Bresciano è il primo paese ove la Pera Angelica ricomparisca sul mercato: essa diventa abbondantissima nel Veronese, nel Vicentino, nel territorio di Treviso, e nel Padovano, ma vi perde il suo nome, e lo cangia in quello di Pero Fico.
Egli è perciò sotto tale denominazione che si conosce dai fruttaioli di Milano, e da quelli di Venezia, ove però è alternato con quello di Angelica.
Dal Padovano questa varietà si estende nel Pollesine e nel Ferrarese, ma in nessun luogo è tanto comune quanto nel Piacentino, ove riprende il nome di Angelica, e nel Modenese, ove cangia in quello di Pero Cedro.
In tutti questi paesi vi è di un’abbondanza straordinaria, e vi prospera tanto, che vi prende sovente una grossezza doppia della comune.
Tale egualmente si vede nel Bolognese, nella Romagna, e nelle Marche, ma non più sotto il nome di Pero Cedro: riprende dapertutto il nome di Pera Angelica, meno nel Faentino, ove lo cangia in quello di Pera Limona.
La coltura del Pero Angelico è antichissima in Italia. L’Aldrovandi nella sua Dendrologia lo annovera fra i peri del Bolognese; e sebbene scrivendo in latino, si serva del nome di Pyra Angela, pure non vi resta luogo a dubitare della sua identità colla nostra Angelica, perchè la figura, che ne ha data, vi risponde perfettamente.
Forse che l’Angela dell’Aldrovandi era la Citria del Celidonio, e la Limonia del Tanara. Abbiamo veduto che questi nomi sono dati anche attualmente a questa pera, il primo nel Modenese, e il secondo nel Faentino.
Io non trovo il nome di Angelica nelle giornate del Gallo, ma lo trovo nei manoscritti del Micheli, e nei quadri di frutti della R. villa di Castello, ove essa è figurata al N. 10. e dove si riconosce per l’Angelica de’ nostri tempi.
Non è così facile a decidere se essa sia conosciuta dagli Oltramontani. Il suo nome si trova in tutte le Pomone: ma non è certo che le descrizioni, e le figure, che lo accompagnano, non corrispondono sempre alle qualità, che distinguono la Pera Angelica, che si coltiva in Italia.
Il primo scrittore in cui si incontri il nome di Pera Angelica è il Bauchino, copiato poi e citato dal Tournefort: ma le sue descrizioni non combinano colle qualità dell’Angelica Italiana. Essa non può caratterizzarsi fructu parvo coloris obturioris, come l’Angelica parva N. 46. di Bauchino, nè fructu flavo aromatico subausteno, come l’Angelica magna N. 49. di questo autore.
Io mi trovo nello stesso imbarazzo per rapportarla alle Pere Angeliche di Duhamel: quanto a quella, che questo Pomologo distingue coll’epiteto di Bordeau, non vi è bisogno di analizzarne la descrizione per riconoscerla come un frutto diverso: la figura che l’accompagna ne testifica la differenza. Quanto poi all’Angelique de Rome, che non è figurata, non si può rapportare alla nostra, poichè è descritta come una Pera vernina, che matura in Decembre, Gennajo e Febbrajo.
Nè per determinare le mie idee su di ciò io mi sono limitato al solo esame delle Pomone nel silenzio del gabinetto: io ho cercato a rischiarar questo dubbio, nel lungo soggiorno che ho fatto in Francia, coll’esame materiale de’ frutti di quei mercati, e di quelli degli amatori: ma non mi è mai stata presentata una Pera, che rispondesse all’Angelica Italiana. Lo stesso mi è accaduto in Vienna, ove non ho trovato che la varietà di Duhamel.
Esse sono le sole che s’incontrino nelle Pomone Inglesi. Io le trovo descritte in Milleredin Forsitk. In questi autori non solo esse conservano il nome Francese, ma vi sono dichiarate come Pere vernine e mangiabili in Febbrajo ed in Marzo. La Pomona Herfordiensis, la Britannica, e la Londinensis non ne hanno neppure il nome.
Tali pure sono le Angeliche della Pomona Austriaca. Essa ne figura una alla tavola 157, e copia il nome, e la descrizione del Pomologo Francese. È quella la sola, ch’io abbia potuto trovare a Vienna nei Pomarj di Schoenbrun, e presso gli altri pomologi.
Si osserverà facilmente la stessa cosa nella Pomona Franconica di Mayer. Questo autore descrive una Pera Angelica, e la pone fra le Pere croccanti nella quarta famiglia; ma la figura e la descrive in modo, che si riconosce anche essa per l’Angelique de Bordeaux dei Francesi.
Quella di Knoop presenta più di analogia di qualunque altra coll’Angelica Italiana. È vero che quest’Autore non la riguarda come un frutto di pregio, cosa che non combinerebbe; ma ciò può derivare da difetto di clima, perchè quello del Belgio non si presta, siccome lo confessa l’Autore, alla sua perfezione.
La sola fra le pere delle Pomone Oltramontane, che trovi corrispondere all’Angelica Italiana, è la Die Sorellen Birn di Sicler. Essa si riconosce specialmente nelle due figure che si trovano alla tavola 15. N. 119. le quali presentano le medesime forme e le punteggiature rosso-brune, che formano uno dei caratteri più distintivi dell’Angelica Italiana.
Da tutto questo mi pare di poter conchiudere che la nostra Angelica può essere conosciuta da qualche Pomologo al di là delle Alpi, specialmente dopo che il Sig. Martin Bourdin si è dato a raccogliere nelle sue pepiniere alcuni frutti Italiani; ma che però essa forma una varietà diversa dalle Angeliche di Duhamel, e che per conseguenza noi possiamo arricchirci reciprocamente, facendone il cambio.

Erbazzone - ricetta dall'Emilia Romagna


Ingredienti:
1 kg. di spinaci o di bietole, oppure di erbe di campo peso cotto
1/2 kg. di farina
300 g. di pancetta non affumicata tagliata a dadini piccolissimi
225 ml. di acqua
2 manciate abbondanti di parmigiano reggiano grattugiato
100 g. di strutto
1 cipolla bianca
1 mazzettino di prezzemolo
1 spicchio di aglio
1 tuorlo
burro q.b.
pepe q.b.
sale q.b.

Fate rosolare in un tegame la pancetta, l’aglio e il prezzemolo tritati, la cipolla tritata e gli spinaci, o le verdure che avete deciso di usare, anch’esse tritate. Fate raffreddare incorporate il parmigiano grattugiato, e aggiustate di sale e pepe.
Fate la fontana con la farina sulla spianatoia. Fate scogliere lo strutto nell’acqua tiepida assieme ad un pizzico di sale, e versate il miscuglio al centro della fontana. Lavorate la pasta fino a che sarà omogenea.
Stendete 2/3 della pasta e con essa foderate una teglia dal diametro di 24 cm. imburrata o unta con dello strutto. Versate nella teglia il composto di verdura.
Stendete la rimanente pasta e con essa coprite la torta. Sigillate i bordi, e bucherellate la superficie, ed infine lucidatela usando il tuorlo d’uovo.
Cuocete questa saporita torta salata nel forno caldo a 200 gradi per circa mezzora.
Servite tiepido o a temperatura ambiente.

BORLENGO



Il borlengo, burlengo o zampanella è una specie di crêpe molto sottile e croccante preparata a partire da un impasto liquido estremamente semplice (è un tipico cibo povero), a base di acqua (o latte), farina, sale e talvolta anche uova: questo impasto è detto colla. Il ripieno tradizionale, detto cunza, consiste in un battuto di lardo, aglio e rosmarino, oltre ad una spolverata di Parmigiano Reggiano. Il borlengo si serve molto caldo e ripiegato in quattro parti. Molti paesi della zona di produzione (vedi oltre) rivendicano la paternità di questo alimento, la cui origine è decisamente antica: i primi documenti certi risalgono al 1266, ma c'è chi ne situa la data di nascita addirittura nel Neolitico.
A Zocca (MO) ha sede il museo del Borlengo, e ha sede la compagnia della cunza, associazione per la cultura e la conservazione della tradizione del Borlengo tipico.

CILIEGE DI VIGNOLA


La capitale indiscussa della ciliegia è Vignola, graziosa città cresciuta ai piedi di una rocca medievale considerata il più bel castello dell’Emilia. Ma l’intero territorio ai lati del fiume Panaro, da Spilamberto in giù, è una zona vocata alla coltivazione di alberi da frutto, sin dalla più lontana antichità. Lo stesso nome della città (dal latino «vineola», piccola vigna) richiama i vigneti, che, con buona probabilità, furono la prima coltura arborea qui praticata con una certa fortuna. L’avvento del ciliegio, albero di origine asiatica, è invece avvolto nel mistero. Si sa che già all’epoca dell’impero romano aveva fatto la sua comparsa nel modenese, ma le prime testimonianze scritte della sua presenza a Vignola risalgono solo alla fine del secolo scorso. Periodo in cui si afferma la coltura dei “tre strati”: nello stesso terreno si trovano piante d’alto fusto (ciliegi), di media taglia (meli, peri, susini) e ortaggi. Un uso assai intelligente del territorio, che dimostra le capacità agricole dei vignolesi. Così, già nel 1920, il giornale «Agricoltura Modenese» può strillare il prezzo elevato (ben 200 lire al quintale!) raggiunto dalle ciliege di Vignola al mercato di Modena.

PIZZA INFUOCATA - ricetta Calabrese


Ingredienti:
500 g Farina
20 g Lievito Di Birra
1 cu Olio Di Oliva Extravergine
50 g Pecorino Da Grattugiare
2 n Peperoncino
4 n Pomodori Perini
qb Sale
70 g Strutto O Sugna
1 n Uova
5 cu Vino Bianco
2 peperoncini freschi piccanti
4 pomodori perini maturi
1 cucchiaio di olio extravergine d'oliva

Disponete su una spianatoia la farina a fontana, versate al centro il lievito sciolto in una tazzina di acqua tiepida, lo strutto, il formaggio, l'uovo, il vino e, infine, un pizzico di sale. Amalgamate bene il tutto fino ad ottenere un composto liscio e morbido. Copritelo con un canovaccio umido e lasciatelo lievitare per 2 ore, in luogo tiepido e lontano da correnti d'aria.
Nel frattempo, lavate accuratamente, mondate e tagliate a rondelline i peperoncini freschi. Lavate i pomodori, eliminate la pelle, i semi e l?acqua di vegetazione e tagliateli a tocchetti. Ungete una teglia da forno con dell'olio.
Stendete la pasta con il matterello, sistematela nella teglia, distribuiteci sopra in modo uniforme la polpa di pomodoro e i peperoncini, aggiustate di sale ed infornate per 30 minuti circa a 220°C.



soppressata calabrese



La Soppressata di Calabria (o sopressata) è un insaccato che può fregiarsi del riconoscimento di presidio a Denominazione di Origine Protetta. Si ottiene con carne bianca di maiale tagliata a pezzettoni a cui si unisce pepe nero (a grani) e sale e un tocco di peperoncino.

PREPARAZIONE
Si prepara prendendo le parti migliori della coscia del maiale, tritate e prive di nervi e insaccandole in budello naturale, in particolare bisogna usare il budello proveniente dall'intestino crasso, ben lavato con acqua e limone e messo a mollo. Una volta riempito il budello, viene forato con uno spillo e legato a mano. Il tutto viene poi lasciato asciugare all'aria.
Dopo circa due settimane si sistema sul pavimento un lenzuolo di lino e vi si adagiano le soppressate, le une vicine alle altre, con l'accortezza di lasciare tra esse uno spazio di circa un centimetro. Le soppressate vengono quindi coperte con un altro lenzuolo di lino, al disopra del quale viene poggiato un tavoliere (o un tavolo rigirato). Sul tavoliere vanno posti dei pesi in modo da ottenere quella pressatura che conferisce il nome al salume.
Dopo circa una settimana viene interrotta la pressatura e gli insaccati vengono messi ad asciugare.
Nella fase di asciugatura, della durata di circa due settimane, si usa spesso l'accorgimento di accendere un braciere nelle vicinanze che conferisca al prodotto una leggera affumicatura, nel braciere vengono aggiunte scorze di arance per garantire un'affumicatura aromatica.
Quindi si ripete l'operazione della pressatura (la "soppressa").
Nella fase conclusiva le soppressate vengono lasciate a stagionare per un periodo di cinque-sei mesi.

salsiccia calabrese



L'origine della tradizione salumiera calabrese risale, probabilmente, all'epoca della colonizzazione greca delle coste ioniche e ai fasti della Magna Grecia. Le testimonianze storiche descrivono lavorazioni di carni suine fin dal secolo XVII. In tale epoca si colloca il primo riferimento scritto, inserito in un'opera intitolata "Della Calabria Illustrata", dove si fa menzione di un ampio utilizzo della specifica tecnica di lavorazione della carne suina. In epoca più recente la produzione di insaccati in Calabria è attestata da statistiche, pubblicate a seguito di censimenti dell'epoca di Gioacchino Murat, risalenti ai primi anni del XIX secolo. In tali documenti si evidenzia anche l'utilizzo di spezie e aromi derivati da piante locali per dare maggiore sapidità alle carni.
Il gusto particolare e intenso è valorizzato dall'accostamento con vini rossi della tradizione locale, a elevata gradazione alcolica. La salsiccia, che entra a far parte di gustosissime ricette della gastronomia meridionale, può essere gustata anche da sola, servita come antipasto insieme ad altri salumi e formaggi tipici, abbinata al pane a lievitazione naturale.

Uova alla monachine - ricetta Campana


Ingredienti:
6 uova sode
250 gr. besciamella o ricotta
30 gr. parmigiano reggiano
noce moscata
olio per friggere
1 uovo sbattuto
farina bianca
pan grattato
sale
pepe

Sgusciate le uova sode e tagliatele a metà nel senso di lunghezza; separate i tuorli dall'albume.
Stemperate con la punta di una forchetta i tuorli e mescolateli con la besciamella,il parmigiano grattugiato,sale,pepe e una spruzzata di noce moscata. Distribuite i composti nell'albume. Infarinate queste uova ed immergetele nell'uovo sbattuto,passateli delicatamente nel pangrattato. Friggete poca per volta in abbondante olio finchè non diventano dorate.Scolatele su carte assorbente e servitele calda.

ALBICOCCA VESUVIANA


Il territorio interessato alla produzione è compreso nei seguenti comuni della provincia di Napoli: Boscotreale, Boscotrecase, Cercola, Ercolano, Massa di Somma, Ottaviano, Pollena Trocchia, Portici, S. Anastasia, S. giorgio a cremano, S. Sebastiano al Vesuvio, S. Giuseppe Vesuviano, Somma Vesuviana, Terzigno, Trecase, Torre Annunziata, Torre del Greco e Nola. La Campania è la regione più importante, nella coltivazione di albicocche, con quasi 50.000 tonnellate di prodotto, proveniente per la maggior parte dall'area vesuviana, che rappresenta circa l'80% della produzione regionale. Nell'area dei comuni vesuviani attualmente vi sono circa 2000 ettari di albicoccheti, con una produzione che in condizioni climatiche normali si dovrebbe attestare sui 400.000 quintali. La maggior parte è destinata al consumo fresco. Una quota variabile di anno in anno viene trasformata in nettari, ossia in succo e polpa, mentre una piccolla parte viene trasformata in confetture, essiccati e canditi, e in ultimo una quota molto limitata è trasformata in prodotti surgelati e sciroppati.

PIZZA NAPOLETANA



La pizza è un prodotto gastronomico che ha per base un impasto di acqua, farina di frumento, e lievito, che dopo una lievitazione di almeno ventiquattr'ore viene lavorato fino a ottenere una forma piatta, cotto al forno e variamente condito.
La pizza è generalmente considerata un piatto originario della cucina italiana ed in particolar modo napoletana. Nel sentire comune, infatti, ci si riferisce con questo termine alla pizza tonda condita con pomodoro e mozzarella, ossia la variante più conosciuta della cosiddetta pizza napoletana, la pizza Margherita. La vera e propria origine della pizza è tuttavia argomento controverso: oltre a Napoli, altre città ne rivendicano la paternità. Esiste, del resto, anche un significato più ampio del termine "pizza". Infatti, trattandosi in ultima analisi di una particolare specie di pane o focaccia, la pizza si presenta in innumerevoli derivazioni e varianti, cambiando nome e caratteristiche a seconda delle diverse tradizioni locali. In particolare, in alcune aree dell'Italia centrale, viene chiamata "pizza" qualsiasi tipo di torta cotta al forno, salata o dolce e alta o bassa che sia.
La pizza napoletana è l'unico tipo di pizza italiano riconosciuto in ambito nazionale ed europeo. Dal 4 febbraio 2010, infatti, è ufficialmente riconosciuta come specialità tradizionale garantita della Comunità Europea.
Essa si presenta come una pizza tonda dalla pasta morbida e dai bordi alti (cornicione). Tale rigonfiamento del cornicione è dovuto all'aria, che durante la fase di manipolazione del panetto si sposta dal centro verso l'esterno. Nell'impasto classico napoletano non è ammesso nessun tipo di grasso. Soltanto acqua, farina, lievito (di birra o naturale) e sale. Nella più stretta tradizione prevede solo due varianti per quanto riguarda il condimento:
Pizza marinara: con pomodoro, aglio, origano e olio extravergine di oliva.
Pizza Margherita: con pomodoro, mozzarella STG a listelli, mozzarella di bufala campana DOP a cubetti o Fior di latte, basilico e olio extravergine di oliva.
La cottura della pizza napoletana, infine, avviene sempre ed esclusivamente tramite l'utilizzo del forno a legna e mai quindi utilizzando altri modi di cottura come per esempio il forno elettrico. Oggi la pizza napoletana è uno dei piatti più diffusi al mondo ed è presente in quasi tutti i ristoranti e locali di cucina italiana all'estero con il nome pizza napoletana o pizza Napoli.Nel 2011, la pizza napoletana è stata presentata dall'Italia come candidata al riconoscimento UNESCO come Patrimonio immateriale dell'umanità.

Cestini di cipolla all'Umbra



Ingredienti
300 g di pasta brisée pronta
• 150 g di formaggio fresco di capra
• 250 g di Cipolle Rosse di Cannara
• 1 spicchio di aglio
• 1 cucchiaio scarso di bacche di pepe rosa
• olio extravergine di oliva
• sale
• burro per gli stampi
• farina per la spianatoia e per gli stampi

Srotolate la pasta brisée sulla spianatoia infarinata e servendovi di un tagliapasta ricavate dodici dischi di 8 cm di diametro, con cui foderare altrettanti stampini lisci, precedentemente imburrati e infarinati; bucherellate la pasta con i rebbi di una forchetta, copritela con dei pezzetti di carta da forno e riempite con fagioli secchi o altri legumi per evitare che la pasta si gonfi in cottura. Cuocete in forno a 180 °C per circa 20 minuti, quindi eliminate carta e fagioli e lasciate raffreddare.
Sbucciate le cipolle, tagliatele a spicchi e disponeteli sulla placca leggermente unta; condite con un filo di olio e una presa di sale, quindi infornate a 160 °C per circa 20 minuti; abbassate la temperatura a 140 °C e proseguite per la cottura per altri 10-15 minuti. Sfornate e lasciate raffreddare.
In una terrina lavorate a crema il formaggio insieme con le bacche di pepe rosa pestate nel mortaio; riempite i cestini di pasta con questo composto, aggiungete in ciascuno uno spicchio di cipolla fredda e servite subito.

CICERCHIA la riscoperta di un legume antico



Il Lathyrus sativus, è un legume, comunemente chiamato Cicerchia, appartenente alla famiglia delle Fabaceae diffusamente coltivato per il consumo umano in Asia, Africa orientale e limitatamente anche in Europa ed altre zone. È una coltura particolarmente importante in aree tendenti alla siccità ed alla carestia, detto cultura di assicurazione poiché fornisce un buon raccolto quando le altre colture falliscono. È anche nota con il nome di pisello d'erba, veccia indiana, pisello indiano, veccia bianca, almorta o alverjón (Spagna), chícharos (Portugal), guaya (Etiopia), e khesari (India). Il consumo di questa pianta leguminosa in Italia è limitata ad alcune aree del centro-sud ed è in costante declino.
RICONOSCIMENTI
Le Regioni Lazio, Marche, Molise, Puglia ed Umbria hanno ottenuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, per le cicerchie prodotte in varie zone delle regioni stesse, il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale italiano.

Oli extravergini d'oliva Umbra dop (Colli del Trasimeno,Colli Martani, Colli Orvietani,Colli Amerini e Colli Assisi - Spoleto)



Sito ufficiale: http://www.oliodopumbria.it/

L'olio di oliva è un olio alimentare caratterizzato da un contenuto molto elevato di grassi monoinsaturi. Nella tipologia vergine si ricava dalla spremitura meccanica dell'oliva, frutto della specie Olea europaea. Altre tipologie merceologiche di olio derivato dalle olive, ma con proprietà dietetiche ed organolettiche differenti, si ottengono per rettificazione degli oli vergini e per estrazione con solvente dalla sansa di olive.
Prodotto originario della tradizione agroalimentare del Mediterraneo, l'olio d'oliva è attualmente prodotto anche nelle altre regioni a clima mediterraneo.

Arancini al formaggio - ricetta Siciliana


Ingredienti
- gr. 500 di riso
- gr. 200 di mozzarella
- gr. 50 di pecorino
- gr. 30 di burro
- n° 3 - uova
- Brodo di carne, pane grattato, olio di oliva sale e pepe

Fare lessare il riso in un litro di brodo bollente e poco salato a fuoco medio fino a cottura in modo che il brodo risulti completamente assorbito, incorporare il pecorino, il burro ed un uovo e mescolare; lasciare riposare per cica 15 minuti prima della lavorazione.
Prelevare una cucchiaiata di riso, porlo nel palmo della mano e lavorarlo fino a formare una palla di riso. Fare al centro, della palla di riso, una piccola conca e mettete un poco di mozzarella precedentemente tagliata a cubetti. Coprire con un'altra cucchiaiata di riso premendo tra i palmi dando al composto la forma di una piccola palla di riso (arancino). Continuate l'operazione sino ad esaurimento degli ingredienti. Passate gli arancini nella farina, successivamente nell'uovo battuto e salato, nel pane grattato infine compattare l'arancino con i palmi e friggere in abbondante strutto o olio fumante. Quando sono ben colorati scolarli su carta assorbente in modo che perdano il grasso e disporli successivamente a piramide su un piatto serviteli caldissimi.

PISTACCHI



Zone di coltivazione a rilevanza internazionale sono in Iran, in Grecia, in Turchia e California. In Italia è una coltivazione di nicchia, rinomati sono i pistacchi di Bronte ed Adrano alle pendici dell'Etna, tutelati dal marchio DOP "Pistacchio Verde di Bronte".
I pistacchi vengono utilizzati sia sgusciati che pelati, spesso tostati e salati, ma anche in pasticceria, per gelati, creme, bevande, per la produzione di salumi (mortadella Bologna, ad esempio), o come condimenti per primi e secondi piatti.

POMODORINI PACHINO



Pomodoro di Pachino (IGP) è il nome di un prodotto ortofrutticolo italiano a Indicazione Geografica Protetta.La zona di produzione del "Pomodoro di Pachino" comprende l'intero territorio comunale di Pachino e Portopalo di Capo Passero e parte dei territori comunali di Noto (SR) ed Ispica (RG), ricadenti nella parte sud orientale della Sicilia.
Il disciplinare del Pomodoro di Pachino IGP classifica e tutela ben quattro varietà di pomodoro, tutte con peculiarità diverse e destinate a diversi segmenti di mercato. Sono tipologie accomunate da un elevato grado brix, da una straordinaria resistenza post raccolta e da un colore brillante e attraente.